Stelle variabili
Nozioni generali |
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Le stelle sono oggetti che mostrano generalmente una stabilità che sfida i millenni: a parte la precessione e gli impercettibili moti propri, lo splendore delle stelle, generalmente, non sembra essersi modificato rispetto alle descrizioni che ci hanno lasciato i nostri progenitori. Oggi però sappiamo che molte stelle in realtà presentano nel tempo delle variazioni nella luminosità che possono essere o no regolari e più o meno vistose. Definiamo queste stelle variabili, e il loro studio è di importanza fondamentale per la comprensione dell’evoluzione stellare. La loro storia ha inizio nel 1596 quando Fabricius osservò, nella costellazione della Balena (Cetus) una stella che non aveva mai visto prima. La variabilità delle stelle, prima dell’avvento del telescopio, non era considerato un evento pressoché normale come ai nostri giorni: era certo più difficile da osservare, e i pregiudizi sull’immutabilità dei cieli contribuivano a lasciar passare inosservati i fenomeni che non fossero proprio impossibili da ignorare. Come, ad esempio, l’apparizione della nova nella costellazione dello Scorpione che, secondo Plinio, avrebbe indotto Ipparco di Nicea alla compilazione del suo catalogo stellare. O come la supernova del 1054, il cui relitto cosmico (la Crab Nebula) possiamo ammirare tuttora nel Toro, e che fu osservata e registrata dagli astronomi dell’estremo oriente e dagli indiani Navaho, mentre le cronache europee del tempo non ne parlano quasi affatto[3]; e ancora nel 1572 Tycho osservò una nuova stella nella costellazione di Cassiopea, e Keplero registrò una nova in Ofiuco nel 1604. Giovan Battista Hodierna osserva, verso la metà dello stesso secolo, la variabile P Cygni (che comunque era stata già scoperta, durante un massimo precedente, dall'Olandese Blaeuw nell'agosto del 1600), e registra Algol a volte di magnitudine 2 e a volte di magnitudine 3. Dogmi o non dogmi, l’uomo si abitua a tutto. E quando un fenomeno comincia a ripetersi con indisponente frequenza, i preti cessano di chiamarlo miracolo e di occuparsene, e lasciano il campo agli scienziati. La ricerca scientifica sulle variabili, comunque, ha fatto passi da gigante soltanto in epoca relativamente recente, anche perché uno studio veramente approfondito prima dell’avvento della fotografia era praticamente impossibile. Esistono diversi tipi di stelle variabili, di cui qui di seguito diamo una breve descrizione. |
Variabili a eclisse |
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Sono sono vere e proprie variabili, in quanto la variazione del loro splendore non è intrinseca, ma è dovuto solo al periodico passare di una stella davanti ad un’altra lungo la nostra direzione d’osservazione. Se in una stella doppia l’inclinazione del piano orbitale è di circa 90°, se cioè il piano stesso è inclinato nello spazio in modo da coincidere o quasi con la direzione d’osservazione, allora le due componenti si eclissano reciprocamente nel corso di un periodo e la luce che vediamo varia nel tempo periodicamente. Esistono tre tipi di variabili (ma é più corretto chiamarle binarie) ad eclisse:
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Variabili intrinseche | |
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Variabili eruttive | |
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Delle variabili vere e proprie non fanno parte le cosiddette variabili ad eclisse, che sono variabili solo apparentemente, in quanto la loro variabilità non è intrinseca, ma dipende semplicemente da un’azione di schermo che un membro di una stella doppia fa rispetto all’altro membro. L’effettiva variabilità fisica, intrinseca, di una stella dipende invece dal fatto che il flusso di energia emesso dalla stella non è costante nel tempo, per cui la stella appare più o meno luminosa a seconda del momento in cui la si osserva, e non perché un altro corpo le passa davanti.
(Mira) Cet, nella costellazione della Balena.
M 1 (Crab Nebula) nella costellazione del Toro.
Durante osservazioni di cefeidi nella Piccola Nube di Magellano, Henrietta Leavitt scoprì una correlazione tra il periodo e la magnitudine apparente media osservata e poiché le stelle nella Nube di Magellano si trovano tutte praticamente alla stessa distanza dalla Terra, ne consegue che esiste anche una correlazione tra periodo e luminosità assoluta. La relazione periodo-luminosità fu tarata sulle cefeidi più vicine, per poterne derivare e quindi la magnitudine assoluta, lavoro alquanto difficile perché non esistono cefeidi abbastanza vicine da poterne misurare la parallasse trigonometrica. Inoltre oggi sappiamo che la relazione periodo-luminosità relativa alle cefeidi classiche è diversa da quella relativa alle stelle del tipo W Virginis. L’utilità della relazione sta nel fatto che per ogni cefeide è sufficiente conoscere il periodo (facilmente determinabile) per conoscerne la magnitudine assoluta e quindi, in base a quella apparente, anche la distanza. Il metodo è impiegato per la misura della distanza di altri sistemi stellari, nei quali, ovviamente, occorre esistano cefeidi.
I tipi spettrali S, R ed N oggi vengono compresi tutti nel tipo C.
SRa: Semiregolari giganti dei tipi spettrali avanzati (M, C, S or Me, Ce, Se) che esibiscono una persistente periodicità e, di solito, piccole ampiezze di variazione (< 2.5 magnitudine nel V). Ampiezze e forme delle curve di luce di solito subiscono dei cambiamenti, e i periodi possono andare dai 35 ai 1200 giorni. Molte di queste stelle differiscono dalle variabili tipo Mira solo perché mostrano soltanto piccole variazioni della luminosità.
SRb: Semiregolari giganti dei tipi spettrali avanzati (come sopra) con periodicità scarsamente pronunciata (cicli medi tra i 20e i 2300 giorni) o con un alternarsi di variazioni periodiche e di lente variazioni irregolari, e persino con intervalli di luminosità costante. (RR CrB, AF Cyg). Ad ogni stella di questo tipo può generalmente essere assegnato un certo periodo (ciclo) medio. In un certo numero di casi viene osservata la simultanea presenza di due o più periodi di variazione della luminosità.
SRc: Semiregolari supergiganti dei tipi spettrali avanzati (m Cep) con ampiezze di circa 1 magnitudine e periodi tra I 30 e le molte migliaia di giorni.
SRd: Semiregolari supergiganti e giganti dei tipi spettrali F, G, e K, a volte con righe di emissione nei loro spettri. Le ampiezze di variazione della luminosità vanno da 0.1 a 4 magnitudini e i periodi dai 30 ai 1100 giorni (SX Her, SV UMa).
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